Ciao Renzo
Questa mattina è morto Renzo, uno dei ragazzi che nel ’68 organizzarono la prima Cena del Martedì, un volontario storico e di lunghissima durata, per anni ha collaborato anche con il Centro diurno e notturno organizzando la spesa, e ancora a novembre insieme a sua moglie Cristina ha partecipato alla vendita del cioccolato alla parrocchia di S. Giovanni in Laterano.
Renzo cantava in un coro e si sono ammalati in molti ma lui non ce l’ha fatta.
Caro dolcissimo Renzo, così attento alle necessità degli altri, avrai compagnia di tanti angeli come te che si sono sempre prodigati per il bene altrui prima del proprio.
Ci mancherai.
Un Momento di preghiera
Questa sera alle ore 18.00 chiediamo di dire, ognuno nella propria casa, un rosario per Renzo.
La sua prima Cena del Martedì- tratto dal nostro libro Cen’è per Tutti
Come è vero che mi chiamo Renzo, la prima cena si tenne la sera dell’8 maggio 1968, ed era un mercoledì. Spiace sfatare questo mito, ma non ricordo come quando e perché si passò poi allo storico martedì. Il luogo scelto fu il salone del primo piano delle opere parrocchiali di via Villani dove si tenevano anche assemblee e riunioni parrocchiali. Gli Ospiti ci furono mandati dalle suore di via Ponzio che già li ospitavano alla loro mensa dei poveri del mezzogiorno, tuttora esistente. Io avevo poco più di 22 anni. Tra le persone del nucleo di volontari (non c’erano allora operatori o educatori) c’erano il fondatore Don Franco Pozzi, Ermanno Azzali, futuro Presidente, Giorgio Agosti, per lungo tempo amministratore dell’associazione, Mauro Papagni, la Cuoca Angiolina Fornari, Beniamino Maestro, un certo Dante del quale non ricordo il cognome e sicuramente qualcun altro che mi sfugge.
Gli Ospiti, tutti uomini, non erano più di 4 o 5 e di conseguenza pure limitato era il numero dei volontari ai tavoli. Ricordo tra le tante emozioni la difficoltà di spiegare agli Ospiti, mai visti prima, il perché della nostra scelta di servizio. La cucina, più che improvvisata in un locale attiguo al salone dove si svolgeva la cena, era costituita da un semplice fornello a gas liquido a due fuochi che consentiva di preparare i primi e qualche secondo. Se era necessario si utilizzava in appoggio la cucina di Don Franco che era al piano superiore. Penso meriti ricordare la figura dell’Angiolina Fornari, perpetua di don Franco.
Angiolina era una forza della natura per entusiasmo, dedizione e abnegazione. Si occupava di gestire i menu, l’approvvigionamento degli alimentari che, non esistendo ancora i surgelati, venivano acquistati in tempo reale utilizzando una tessera Lombardini. Angiolina non doveva dire nulla. Bastava uno sguardo di disapprovazione. Rotonda nell’aspetto, secca negli ordini e nelle considerazioni. “Taglia le cipolle”, “Togli quel coperchio”, “Lèvati!”. Tanto implacabile con i volontari, i ragazzi soprattutto, quanto imprevedibilmente dolce con gli Ospiti. La sua crocchia emergeva dal fumo delle pentole di via Villani, la pasta che bolliva sul fornello gigante per terra o l’arrosto nel forno a rischio esplosione, che si spegneva ogni quarto d’ora. Angiolina non era che l’esponente più caratteristica di un’epoca di “signore” della cucina, dispotiche regine che alla San Pio X di piazza Leonardo governavano con mano sicura e piglio dirigista i giovani volontari che in cucina c’erano entrati solo per rubare la Nutella dal frigo. Oggi come allora il cibo non era la cosa più importante, si era ben lontani da considerare primaria la qualità e la salubrità degli ingredienti. E la dispensa era ben più povera di quella odierna, a volte degna di un campo Onu.
Una serata storica che forse gli Ospiti ottuagenari ricordano: 19.30, un dicembre plumbeo a Città Studi. La spesa era saltata, i negozi chiusi per l’Immacolata, la dispensa vuota, se non per un pacco di penne da 10 kg. Il panico saliva come le bollicine nell’acqua della pasta, lo stomaco degli Ospiti brontolava. Le signore riunite in consulto guardavano serie l’interno del frigo. Poi una pentola si aggiunse ai fornelli e un enorme mattone di burro cominciò a sciogliersi. Quando raggiunge lo stato liquido ecco il “tocco” segreto. 15 dadi da brodo! La brodaglia assume prima l’aspetto di un gelato variegato, poi di una pozza di gas naturale, infine viene sparsa sulla pasta con l’enfasi di una ricetta da gourmet. Il sapore ricorda ai più una zuppa delle isole Lofoten, ma, fatto miracoloso, nessuno si lamenta. Una grande prova di… educazione. La ricetta non la citiamo, non è il caso. Angiolina c’era. Oggi ha 93 anni e solo da un anno ha smesso di fare la volontaria alla Casa della Carità di Milano.
Altri ricordi scongelati: le spese di gestione della Cena venivano sostenute dai proventi delle raccolte di carta che periodicamente si effettuavano su tutto il territorio parrocchiale rivendendola poi a una cartiera milanese. Si chiamava “Operazione Formiche”: e che soddisfazione saltare nel cassone della carta ingombro della nostra fatica. A fine cena, non avendo altra possibilità, per questioni logistiche si lavavano piatti, posate e pentole nei lavandini dei servizi attigui al salone. E nel periodo estivo il tutto si risolveva in una battaglia d’acqua tra volontari degna dei migliori match ferragostani.
Buon viaggio Renzo!