Senza tetto, senza fissa dimora, senza dimora; una questione solo lessicale?

Nel tempo è cambiato il modo di riferirsi alle persone che sono purtroppo prive di una dimora dove vivere; siamo passati da “barbone” a “Persona senza dimora” e non si tratta di un cambiamento solo lessicale. Dietro alle parole c’è sempre un concetto, una visione particolare.

Barbone è quasi sempre stato usato in modo dispregiativo, si riferiva alle persone che dormendo per strada spesso si lasciano crescere la barba. Negli anni 70’ era fortissima la convinzione che la vita in strada fosse una libera scelta fatta da queste persone in nome della propria libertà dai vincoli sociali e familiari.

Per fortuna molte associazioni di volontariato non hanno creduto a questo mito della libertà e si sono seduti sulle panchine al loro fianco per conoscerli e comprendere meglio la loro situazione. Vivere per strada è una condizione disumana e solitamente viene determinata da una crisi personale accompagnata alla mancanza di una rete sociale ed economica. Inoltre non sono solo le persone che vivono per strada ad essere senza dimora e così si è iniziato a parlare di persone senza fissa dimora.

Ma anche quel “fissa” era di troppo, portava l’attenzione al fatto di avere la residenza in una dimora, residenza intesa come iscrizione anagrafica e non al fatto di avere o no una dimora “reale”. Le persone accolte nei nostri centri di accoglienza o nei nostri appartamenti protetti hanno attualmente la residenza anagrafica presso di noi ma non per questo hanno una dimora.  Da noi possono stare solo per un periodo più o meno lungo e uno degli obiettivi dell’accoglienza è proprio quello di risolvere l’aspetto abitativo. Quello della residenza anagrafica per le persone senza dimora è un grossissimo problema. La residenza e l’iscrizione anagrafica rappresentano per ogni cittadino la certificazione di “esistere”, di essere portatori di diritti soggettivi fondamentali e di avere la garanzia di poterli esercitare. Per le persone senza dimora, la residenza anagrafica rappresenta un passo ancora più importante, perché ad essa si collega la possibilità di usufruire dei servizi sanitari, socio-assistenziali e abitativi, erogati dagli enti locali. Ma la residenza è una delle problematiche del non avere dimora ma non l’unica e quindi è stato tolto il “fissa” e oggi si parla di persone senza dimora.

Secondo la classificazione ETHOS (European Typology on Homelessness and Housing Exclusion), elaborata dall’Osservatorio Europeo sull’Homelessness, in tale definizione rientrano tutte le persone che:

  • vivono in spazi pubblici (per strada, baracche, macchine abbandonate, roulotte, capannoni);
  • vivono in un dormitorio notturno e/o sono costretti a trascorrere molte ore della giornata in uno spazio pubblico (aperto);
  • vivono in ostelli per persone senza casa/sistemazioni alloggiative temporanee;
  • vivono in alloggi per interventi di supporto sociale specifici (per persone senza dimora singole, coppie e gruppi).

Ciò che connota le persone senza dimora è una situazione di disagio abitativo, più o meno grave che è parte determinante di una più ampia situazione di povertà estrema.

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