I servizi di assistenza creano i senza dimora

Fio.PSD ha pubblicato ad aprile il libro Homelessness in Italia – storie di vita e percorsi: quali servizi per quali persone? e Cena te lo racconta a puntate così da riflettere insieme sui temi della povertà e grave emarginazione.

Siamo al primo capitolo che approfondisce il ruolo dei servizi e delle pratiche di intervento nel determinare i modi con cui il fenomeno viene socialmente rappresentato nel nostro paese e dall’analisi sul campo è emerso il ruolo ambivalente dei servizi di accoglienza nel dar forma all’identità delle persone che si affacciano ai servizi: possono favorire la promozione di un’identità di cittadini oppure una più svalutante di homeless.
Purtroppo la seconda opzione è quella che maggiormente si presenta e Il libro vuole far riflettere sulle conseguenze che si producono sulle persone del vedersi attribuire un’identità svalutante dai servizi in cui devono recarsi.
Facciamo degli esempi.

Si tratta di una identità che prende forma nella dignità negata degli spazi che frequentano, nelle file che quotidianamente sono tenuti a fare, nelle temporalità imposte ma anche negli stereotipi contrapposti che li vogliono pericolosi, deviati, tossicodipendenti, alcolisti o in quelli opposti che li ritraggono come persone buonissime, solidali, ricche di umanità, che in qualche modo dovrebbero riscattare la categoria e che, di nuovo, producono solamente diversi clichè.

Un altro aspetto importante sono i colloqui con gli assitenti sociali e gli educatori. Accettare la propria condizione di disagio è un requisito imprescindibile per poter essere “presi in carico”. Si verificano così alcune situazioni paradossali per cui al potenziale utente è richiesto di rinunciare alle proprie reti di supporto (parenti, amici, partner) che possano eventualmente ospitarli per iscriversi per frequentare i dormitori. Come evidenziato dall’osservazione condotta presso lo sportello informativo gestito dal comune di Torino, alle persone veniva fornita in ogni caso l’indicazione di recarsi presso i dormitori: “scusi se lei non va a dormire in dormitorio, non potrà mai essere seguito da una assistente sociale. No, non basta iscriversi, bisogna andarci a dormire veramente”

Inoltre le regole delle case di ospitalità notturna ostacolano la possibilità di avere un impiego serale per via degli orari da rispettare: “come faccio a presentarmi ogni sera alle 20.30 davanti al dormitorio per sapere se avrò il posto quella sera oppure no, se sto lavorando al ristorante? Devo scegliere se lavorare o se non andarci per provare a prendere il posto al dormitorio che però non è neanche sicuro.” 

Un ulteriore esempio della costruzione dei senza dimora riguarda l’impossibilità di ricevere aiuto prima di subire uno sfratto, in ottica preventiva.

Un altro aspetto importante è Il deterioramento delle capacità, degli interessi esemplificato dall’impossibilità di coltivare le abitudini culinarie e domestiche, di scegliere la propria alimentazione. Nei circuiti dell’accoglienza sono previsti meccanismi di delega sia per quanto riguarda la pulizia degli ambienti sia per la fornitura del cibo. Significativo il fatto che nei gradini successivi, nelle così dette strutture di Seconda Accoglienza in cui la permanenza è consentita per periodi medio- lunghi, uno degli aspetti su cui insistono maggiormente gli operatori è il recupero delle abilità domestiche.

L’utente homeless prende forma nelle file che quotidianamente i beneficiari sono tenuti a fare per procurarsi il cibo nelle mense o agli sportelli degli uffici del welfare dove spesso non vi è rispetto per la privacy né attenzione a non far perdere tempo alle persone poiché il pregiudizio ricorrente è che i poveri non abbiano nulla da fare tutto il giorno. Prende forma degli appuntamenti con le assistenti sociali concessi a mesi di distanza. Nelle lunghe ore di attesa serale fuori dal dormitorio che le persone homeless sono costrette a fare per sapere se avranno o meno la possibilità di ottenere un posto letto per la notte o se dovranno spostarsi la sera tardi dall’altra parte della città perché un posto libero c’è ma non in quella struttura o se dovranno dormire all’aperto. 

In sintesi all’utente dei servizi sono imposti ritmi che non ha scelto. Per beneficiare degli aiuti a disposizione, l’individuo senza dimora deve rinunciare, almeno in parte, alla propria autonomia.

Parliamo ora degli spazi fisici dove si svolgono i servizi. I dormitori sono spesso luoghi in disuso che non ospitano più le attività per cui erano stati progettati. Per le strutture torinesi non è stato fatto un lavoro preventivo alla loro costruzione di analisi delle esigenze dei fruitori e del personale impiegato. Le case di ospitalità notturna talvolta sono strutture in muratura altre volte si tratta di container. Si trovano solitamente nei quartieri periferici, non hanno un nome proprio ma prendono il nome dalla via in cui sono ubicati e all’esterno appaiono il più possibile come luoghi anonimi per non farsi notare poiché spesso la loro presenza è sgradita. Alcuni si trovano in luoghi difficili da raggiungere con i mezzi pubblici, specialmente in orario serale.

Il tema quindi che merge dalla ricerca sul campo è il tema del riconoscimento che si costruisce o viene negato nel circuito dei servizi. Il timore da parte delle persone che si trovano ad aver perso la propria abitazione è di non essere riconosciute in quanto individui, ognuno con le proprie specificità ed esigenze. Bisogna quindi ricordarsi che gli “esclusi” non sono una entità collettiva ma collezioni di individui i quali non hanno in comune nient’altro che la condivisione di una stessa mancanza. 

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