Profili sociali e biografici degli homeless di Cosenza – Homelessness in Italia
Eccoci arrivati al secondo capitolo del testo Homelessness in Italia edito dalla fio.PSD.
Il secondo capitolo verte sullo studio delle cartelle di accoglienza presso la Fondazione Casa Don Francesco d’Assisi a Cosenza nel periodo tra il 2011 e il 2019. In tutto quasi 500 cartelle.
Le relazioni e i documenti allegati alle cartelle raccontano di abbandoni (familiari e istituzionali), malattie, dipendenze, violenze e povertà. Le biografie sono diverse tra loro e spesso complesse ma lo studio ha cercato di individuare dei profili di emarginazione.
Il primo gruppo fa riferimento a persone che hanno alle spalle una precedente esperienza di istituzionalizzazione o non hanno per il futuro altra prospettiva se non quella di vivere in strutture. Quando una persona trascorre tutta l’infanzia e l’adolescenza lontano dalla propria famiglia, in una comunità di accoglienza, fino alla maggiore età la possibilità di sottrarsi al circuito dell’istituzionalizzazione, in assenza di supporti esterni, sembra dipendere dalle capacità di resilienza della persona
B, italiano 34 anni: entra in struttura quando ha 29 anni e vi rimane dal 2015 al 2018. E’ padre di due bambini. Quando ha perso la madre all’età di 2 anni, lui e i sui 6 fratelli sono stati accolti in diverse comunità di accoglienza. A 15 anni è tronato a vivere con il padre ma non senza problemi e conflitti. A 18 anni ha lavorato come manovale in una città del nord sperimentando notevoli difficoltà di adattamento ed è tornato a Cosenza. Rientrato ha chiesto aiuto ad una sorella che aveva però gravi problemi economici.
Il secondo gruppo riguarda ospiti con problemi di salute mentale o di dipendenza da alcol e/o sostanze. Quando possibile gli operatori hanno cercato di costruire delle collaborazioni con altri servizi del pubblico o del privato sociale ma questi interventi non sono quasi mai stati co- progettati con il servizio sociale inviante e ne è derivata una frammentarietà che ne ha condizionato gli esiti.
A Italiano 59 anni: a partire dal 2011 ha trascorso periodi più o meno lunghi in diverse comunità terapeutiche per cercare di affrontare la sua dipendenza dall’alcol alternati a fasi vissute per strada o in carcere. Separato con due figlie adolescenti che i servizi sociali gli permettono di incontrare regolarmente soffre una condizione di grave disagio economico resa ancora più pesante da seri problemi di salute. Rientra l’ultima volta in Fondazione dell’ottobre del 2019 dopo l’ennesimo tentativo di disintossicarsi in una comunità per tossicodipendenti. Nel mese di gennaio del 2020 diventa per lui fatale una infezione che gli provoca una febbre altissima.
Tra le persone accolte dalla fondazione nel corso degli anni ci sono stati anche soggetti vulnerabili, non ancora agli estremi della vita sociale ma che vivono una precarietà esistenziale derivante dall’indebolimento simultaneo delle reti familiari e dei canali di integrazione sociale e lavorativa. Interventi tempestivi di sostegno al reddito o di politica abitativa avrebbero potuto scongiurare l’istituzionalizzazione.
A.M. italiana 53 anni: trascorre alla fondazione due anni. E’ una donna che ha alle spalle una esperienza di convivenza con un compagno e con la sorella di lui. Dopo la morte del convivente la cognata le nega l’accoglienza in casa. Nel corso degli anni alterna periodi di lavoro come badante (che le assicura anche un alloggio) a periodi in strada. Lascia la struttura quando ottiene la pensione di invalidità civile e le viene assegnato un alloggio popolare.
Quando alla precarietà – che tanti stranieri vivono a causa di una integrazione sociale e lavorativa debole- si sommano problemi di salute l’inserimento in struttura diventa spesso inevitabile e per periodi lunghi.
N. straniera 52 anni: viene accolta su invio del servizio sociale dell’ospedale di Cosenza perché deve effettuare un ciclo di chemio e radioterapia ma non ha i mezzi per pagare una pensione. Arriva dalla Bulgaria e abita in provincia di Cosenza con il coniuge. E’ venuta per lavorare e vive presso l’abitazione della sorella. Il figlio di 7 anni è rimasto in Bulgaria con i nonni. Dopo tre giorni di lavoro come bracciante agricola si sente male. Le viene diagnosticata la malattia per cui si sta curando, un tumore all’utero. Lascia la Fondazione dopo circa un mese, dopo aver terminato la terapia prescritta
Conclusioni
Quello che traspare dalle storie indagate è la condizione di multiproblematicità di una quota rilevante di Ospiti che viene spesso intercettata da una serie di attori (ospedali, centri per la salute mentale, servizi per le tossicodipendenze, tribunali, centri di accoglienza) che operano però in maniera frammentata. Manca il lavoro di coordinamento e di regia che dovrebbe essere assicurato dal servizio sociale inviante.
I profili delle persone accolte sono complessi ed eterogenei. Sono gli uomini italiani quelli che vivono più di frequente le tappe tipiche dello scivolamento in povertà: tra di loro sono più diffuse le dipendenze e l’interruzione dei legami matrimoniali-familiari. Per gli stranieri l’arrivo in Fondazione sembra essere l’esito della mancanza di adeguate politiche migratorie o di integrazione lavorativa. Costituisce un filone dell’accoglienza a sé quello delle donne dei paesi dell’est che arrivano in Italia per lavorare come badanti e che, perso il lavoro o dovendo affrontare un periodo di malattia, si ritrovano accolte in Fondazione.
Le cartelle, poi, raccontano di condizioni ricorrenti (istituzionalizzazione pregressa, malattia psichiatrica o dipendenza, povertà e vulnerabilità) che, incrociandosi con eventi sfavorevoli, assenze istituzionali, indifferenza sociale, producono condizioni di vita tragiche e sofferenti dalle quali riescono a ripartire, quasi sempre, solo quanti possono contare su risorse personali residue.
Chi volesse leggere anche il resoconto del primo capitolo lo trova qui.